Incipit il Male risorge
Il pavimento di granito è lucido di umidità, come al solito il cartello giallo è nascosto dietro il vaso di ficus, prima o poi ci riusciranno a farmi rompere il sedere per terra e rovesciare i caffè. Questo è un chiaro messaggio che devo smettere di arrivare troppo presto al lavoro. Accorcio i passi, le suole di gomma mi aiutano a scivolare di meno.
Il vecchio Bill al banco d’ingresso mi fa un cenno di saluto. «Buongiorno Mary!»
«Buongiorno Bill, come va?»
«Un giorno in meno alla pensione.» Sorride. «Sempre molto mattiniera agente speciale Browne.»
«È un anno che vivo a Washington e non mi sono ancora abituata al folle traffico del mattino, preferisco uscire con calma da casa ed evitare il casino.» Faccio un cenno al cartello di avviso delle pulize. «Sono solo quelli delle pulizie che non la pensano allo stesso modo. Buona giornata.»
Appoggio i caffè che ho preso da Starbucks sul tornello d’acciaio per passare il mio tesserino nel lettore digitale. Mi viene da ridere, ho sempre il terrore che non si apra la sbarra e di essere circondata dalle guardie.
Passo, afferro i caffè, mi infilo nell’ascensore e con il gomito premo il pulsante. Esco al quarto piano non c’è ancora nessuno, la luce al neon appiattisce tutto e le pareti bianche mi fanno sempre sembrare di lavorare in ospedale.
Apro la porta dell’ufficio con una culata, Guillermina non è ancora arrivata, appoggio una tazza sul tappetino del suo mouse. Apro la finestra per arieggiare la stanza, vado alla mia scrivania e mi siedo. Tolgo il coperchio di plastica, chiudo gli occhi e mi inebrio del profumo del caffè. Bevo un sorso, accedo al mio pc e controllo le mail. Nulla di importante. Apro il sito del Washington Post e comincio a leggere le notizie.
Guillermina entra in ufficio e chiude la porta. «Ciao Mary.»
«Buongiorno, tutto bene stamattina?»
«Sì tutto bene, grazie per il caffè, tu?»
«Nulla di nuovo, per ora la giornata è cominciata bene, nessun problema nella mail, speriamo nemmeno nella tua.»
La porta sbatte, Anderson irrompe in ufficio. «Ho appena finito di discutere con il direttore, per colpa vostra!»
È paonazzo, ho parlato troppo presto. «Buon— »
«Devi sempre crearmi problemi.» I suoi occhi mi inceneriscono. «Voleva che aprissi una sede dell’FBI in Alaska, in un posto sperduto e che vi trasferissi là a calci nel culo!»
Ce l’ha con me. Quando il capo è in piena è impossibile farlo ragionare. «Signore—»
«I colleghi di Atlanta, hanno appena arrestato Wilkerson mentre stava cercando di scappare in sud America!»
Scatto in piedi e la sedia sbatte contro la parete.«Signore, è solo colpa mia se non l’abbiamo catturato prima.» Stringo i pugni e lo guardo dritto negli occhi. «Ma ho fatto la cosa giusta!»
«Il problema è proprio questo, non riesci a capirlo?» Ogni parola è una mitragliata.
Avvampo, non ci sto. «Entrare in casa di gente estranea, senza un mandato, solo per delle intercettazioni illegali, va co-contro tutto quello che mi è stato in… insegnato!» Dal nervoso balbetto.
«Potevate improvvisare, dovevate arrestarlo.» Lo sentono anche le formichine in strada.
«In tribunale sarebbe venuto a galla, tutti quelli che abbiamo sbattuto in galera avrebbero chiesto l’annullamento!»
Il capo si asciuga la pelata con il fazzoletto: sta sudando dall’incazzatura, non fa così caldo. «Non ci serve un’altra Giovanna d’Arco, o ti giuro che la prossima volta in Alaska ci vado io a costruirvi la capanna.» Punta il dito contro la mia collega. «Pensaci tu Guillermina.»
«Signore, vedrò di gestire la sua delicata coscienza.» I suoi occhi mi mandano un messaggio chiarissimo: “taci!”
Il capo getta della documentazione sulla scrivania di Guillermina, lei riesce con un gesto d’istinto a sollevare appena in tempo la tazza del caffè. Disastro evitato.
Non si ferma. «Nuovi morti per il vostro caso; vedete di risolverlo. Il capo Detective della polizia di New York vi aspetta con ansia per scaricarvi la patata bollente.» Esplode sarcasmo da ogni parola.
Mi siedo di fronte alla scrivania della mia collega.
«Grazie signore, studiamo il fascicolo e poi partiamo.» Le parole di Guillermina sono asciutte.
«Non perdete altro tempo, ormai sono 38 i morti.»
«52, se consideriamo anche quelli in Europa, signore.» Meno male che Guillermina mantiene la calma.
«Notizie dall’Interpol?»
«No, signore, anche loro non sono riusciti a cavare un ragno dal buco.»
«Tenetemi informato, torno nel mio ufficio.»
Prendo le autopsie e lascio i rapporti della polizia alla mia collega. Le leggo tutte e tre. «Sì, è il nostro caso; tre morti per esplosione del cuore, senza alcun segno esterno. C’è qualcosa di interessante dai detective?»
«Uhm, non mi pare; nessun testimone… non hanno rubato nulla… hanno interrogato i proprietari dei locali vicini, ma nessuno li ha visti. Come tutte le altre volte.»
Lo sfregare delle ruote sul pavimento della sedia di Guillermina mi distraggono dalle mie letture. Chiude la finestra, si affaccia al corridoio, guarda a destra, guarda a sinistra, rientra e chiude la porta. Mi parla all’orecchio. «Parliamo sotto voce.»
«Ok.» Gira intorno alla sua scrivania e si siede. Continuo. «Siamo in una situazione complicata.»
«Conosciamo l’arma del delitto, ma non possiamo dirlo perché altrimenti ci ricovererebbero in ospedale psichiatrico!» Il suo sorriso mitiga la sua espressione seria mentre parla.
«E agli altri possiamo dirlo, ma non sappiamo chi sia l’autore. Hai notizie dal Consiglio degli Asisi?»
«Pensavo di contattarli dopo aver indagato a New York.»
Non so se faccio bene a dirlo, ma ci provo. «Posso parlarti di una mia teoria che potrebbe sembrare folle?»
«Per come siamo messe, di folle non c’è nulla.»
La sua risposta mi sorprende, non ama i miei voli pindarici. «Lo sai perché noi maghi ci chiamiamo Asisi?»
Alza il sopracciglio e mi guarda come se fossi scema. «Scusa? Lo sanno tutti, che domanda è?»
«Per favore, seguimi anche se ti sembrano fesserie.» La mia voce è suadente.
«Perché le prime manifestazioni di magia sono state scoperte nella città di Asisi, migliaia di anni fa.» Risponde con sufficienza.
«Dov’è questa città?»
Mi guarda storta, ma sta al gioco. «Nessuno lo sa.»
«Ultima domanda: quali sono le fonti?»
Mi risponde secca. «Se non lo sai tu che sei una storica… comunque ci saranno antichi libri che ne parlano, no?!» È pure sarcastica.
«Ti ricordi che ti ho parlato di Peter, il mio professore di miti e leggende degli Asisi?»
«Mi pare di sì.»
«Devi sapere che questa cosa è stata il più grande argomento di discussione tra di noi.»
«Scusa?! Discussioni su come ci chiamiamo?! Rompipalle anche da studentessa, eh!»
«Devi sapere che esiste un’unica fonte: “la leggenda dei Primi Maghi”.»
«La storiella che ci raccontano da bambini? Impossibile, non ci credo.»
«Eh, invece è proprio così. Per questo discutevamo sempre con Peter. Lui è convinto che la leggenda sia in realtà storia.»
«Quindi, secondo il tuo professore, la Prima maga Amel e i suoi figli ci hanno trovato ad Asisi e ci hanno insegnato a utilizzare la magia veramente?»
«Sì, tutta la sua vita la sta dedicando a trovare le prove di questo. La mia idea folle è proprio questa, e se avesse ragione lui, questo incantesimo che non conosciamo potrebbe essere qualcosa legato ai primi maghi, magari proprio a Zizif, il fratello cattivo di Amel.»
Il suo sguardo non è più ironico, credo di aver stuzzicato la sua curiosità. «Siamo investigatrici, siamo abituate a prendere in considerazione tutte le piste, per quanto assurda, seguiamola.»
Ho davvero tanto da imparare da Guillermina. «Grazie.»
«Il tuo professore non vive in New Jersey?»
«Sì.»
«Quando siamo a New York, prenditi del tempo per andare a trovarlo. Magari ha fatto dei passi avanti nelle sue ricerche.»
«Mi sembra un’ottima idea, sarà contento di rivedermi e potrebbe aiutarci.»
«Ok, è deciso. Organizziamoci per bene e mi auguro riesca a trovare il bandolo della matassa.»
«Speriamo, perché sono un po’ demotivata; abbiamo consultato anche grimori antichissimi, ma nulla.»
«E nessuno degli anziani ha saputo aiutarci.» Guillermina beve un po’ di caffè e poi continua. «Siamo certe che è un caso solo Asisi, le vittime sono maghi, gli assassini sono maghi.»
«Sarà difficile stilare il rapporto per l’FBI, dovremo inventarci qualcosa di plausibile.»
Si allunga sulla sedia, guarda in alto. Mi alzo dalla poltroncina, sgranchisco le gambe, vado alla finestra e guardo le persone che camminano tranquillamente per strada, ignare della situazione. Sono fortunate o forse no. Un ragazzo si china, ha il cane al guinzaglio, starà raccogliendo la cacca, ti darei una medaglia, odio le gincane per evitare le merde dei cani dei padroni maleducati. Mi giro verso Guillermina. «Cosa ne pensi se andiamo in auto a New York, sono poche ore e siamo più autonome.»
«Sì, preferisco anche io. Prenoti tu le stanze?»
«Ok.»
«Ci vediamo tra mezzora nel parcheggio seminterrato, hai il trolley pronto?»
«Sì, è sempre pronto in ufficio.» Apro l’armadio e tiro fuori la mia valigia e quella di Guillermina.
«Vado dal capo e l’avviso che stiamo partendo, poi prendo uno snack. Non ho fatto colazione.»
«Fai come me, alzati presto. La colazione è il pasto più importante della giornata.» Rido. Lei mi guarda, scuote la testa e se ne va.